di LavoroVivo
Editoriale del numero 1 | anno 2022 / Inverno
L’idea di questa rivista e quella di aprire un nuovo studio legale nascono nello stesso collettivo con la medesima connessione temporale del famoso connubio uovo – gallina: chi è venuto prima? Boh! Di certo ciò che (per ora) caratterizza questa nostra pubblicazione è l’essere stata interamente ideata e scritta da avvocati che hanno deciso di condividere il medesimo spazio di lavoro e lo stesso progetto: difendere solo i lavoratori e le loro organizzazioni migliori. C’è poi la direttrice giornalista professionista, ma non fa eccezione, essendo entrata nel gruppo con il ruolo della lavoratrice licenziata bisognosa di tutela legale ed essendocisi fermata in quello del quadro militante di un sindacato ancora da inventare (e per questo potenzialmente straordinario). Questa rivista allora è il nostro ‘fare come se’: come se il nostro bisogno di riflettere insieme, di per sé, equivalga ad avere qualcosa da dire, come se il condividere un luogo ed uno ‘stile’ faccia di noi un gruppo redazionale, ma – soprattutto – come se il mondo del lavoro sia ancora un punto privilegiato per comprendere ed il suo diritto uno strumento funzionante per agire. E tutto ciò nella convinzione divenuta quasi un’ossessione che, se è vero che da sempre l’unione fa la forza, oggi è solo nella delimitazione di uno spazio comune di azione in base a valori condivisi (siano le mura di uno studio legale o le colonne di una rivista) che è possibile trasformare in atto i nostri progetti, compresi quelli più personali. Mentre scriviamo queste righe non conosciamo ciò che invece i nostri (auspicati) 16 lettori sapranno se e quando le leggeranno, e cioè chi sarà il prossimo Presidente della Repubblica. Ma chiunque sarà il prescelto, non muterà il fatto che il sintomo più narrativo di questo lungo inverno è il paradossale confronto che accompagna l’avvicinamento alla sua elezione. Da un lato ci sono quanti sostengono che sia meglio la putrefazione finale di ciò che resta della seconda Repubblica, con la collocazione del suo corpo osceno al Quirinale. E dall’altro l’entusiasmo mainstream che tifa per il saldo avvio di una terza Repubblica, con un Presidente del Consiglio (il cui maggiore appeal politico è che non si sa neppure per quale partito voti) che rimette il mandato a se stesso per nominare il suo successore (e sottoposto), con una maggioranza parlamentare pari al 90% delle Camere ed un programma concordato a livello internazionale, che andrà avanti “chiunque sia premier” almeno per i prossimi 7 anni. Scegliete, ci dicono: chi preferite dei due? Ma noi non scegliamo, perché sappiamo tre cose: la prima è che avremo tempo per pensare e costruire il mondo ideale che vogliamo, le altre due invece le sappiamo adesso e le sappiamo proprio bene. E sono – per dirla con Montale – ciò che non siamo e ciò che non vogliamo. La nostra urgenza non è quindi su cosa dovrà accadere domani, ma su cosa proprio non sopportiamo che accada oggi, come l’indicibile storia di Lorenzo, ucciso a 18 anni in fabbrica dalla ‘alternanza scuola-lavoro’. E allora non scegliamo, e invece scriviamo questa rivista perché crediamo che quel poco che resta del diritto del lavoro sia ancora uno strumento funzionante per opporci a ciò che non siamo e non vogliamo. Abbiamo infatti scoperto, con stuporoso sollievo, che i diritti delle persone al lavoro sono come la libertà per San Paolo, quando entrano nella storia non ne escono mai più del tutto. La lotta degli operai GKN, quella che più di tutte in questo complicato anno ci ha insegnato a “fare come se” si possa vincere, ha usato e si è fatta usare dal diritto del lavoro battendo in tribunale il fondo d’investimento che ci specula sopra e invitando i giuristi ‘peggiori’ (quelli cioè che non hanno ricevuto il premio come migliore studio legale dell’anno) a scrivere una legge contro le delocalizzazioni non sulle loro teste ma con le loro teste. È stato anche e soprattutto grazie all’incontro con il sapere giuridico che i lavoratori Alitalia hanno saputo dare una lezione di dignità al governo e al piccolo marchionne messo a guidare Ita, impedendo per mesi ai sindacati confederali di “bollinare” l’abuso in cambio del permanente monopolio della rappresentanza (bollino poi, purtroppo, puntualmente apposto). Ed è grazie al diritto che i lavoratori, e quei sindacati che non li hanno abbandonati, potranno proseguire questa battaglia ‘come se’ si potesse ed anzi si dovesse ottenere giustizia. Infine ancora una volta è proprio la parte più avanzata del mondo organizzato del lavoro, di cui il giuslavorismo è parte imprescindibile, che si è dovuta riprendere le piazze incarognite nello scontro tutto a perdere tra autoritarismo e terrapiattismo, riempiendole l’11 ottobre e poi il 4 dicembre con i grandi temi della giustizia sociale, ambientale, generazionale.
Concludendo con un altro poeta ci chiediamo allora “cosa c’è di buono in tutto questo”? E ci diamo almeno la stessa risposta che si è dato Whitman e cioè “che il potente spettacolo continua, e tu puoi contribuirvi con un verso”. Questa rivista è niente altro che il nostro verso, nell’unica lingua che conosciamo, quella del diritto del lavoro.
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